sabato 25 aprile 2009

VENERDI' SANTO

di Marcello Sordo, Gaza.

Venerdì di passione. Assorto tra i canti di uccelli, i canti coranici vicini, i rumori attutiti dalla festività e dalla sabbia. Percepisco la sigaretta appesa al nulla, un nulla che assorbe la passione di questa terra, che si sforza di comprendere la naturale dolcezza di un popolo sofferente, che si perde nella complessa vastità che lo accoglie, circondato da giardini curati e case rese monche da una perpetua privazione.
Mi scopro lo sguardo perso verso sud est; ogni mattino, al risveglio, il mio sguardo si è rivolto laggiù oltre il muro, come attratto da un evento o da una energia.

Ritornano le parole di Shads (miele) e le emozioni che ha scaturito una sera.
“Tu credi in Mohammad?” La sua domanda suonava come un'affermazione, il mio delicato diniego la stupiva senza ledere la dolcezza e la grazia con cui mi parlava. “Quando ti ho visto entrare in questa casa, la prima volta, ti ho pensato mussulmano e ne sono rimasta colpita”. Mi fissa negli occhi, con la forza della luce pulita, e mi parla dei modi gentili, dell'alterità, del rispetto degli spazi , dell'impegno sociale e riconduce la virtù alla fede, ai precetti religiosi che rendono la convivenza armoniosa in ogni gesto rivolto a Dio. Forse in un pensiero laico europeo mi avrebbe parlato di empatia, ma è più probabile che io non afferri significati più profondi.
Il suo invito alla fede è tanto delicato e carico di forza che mi sovrasta, invade il pensiero come un balsamo mentolato che si assorbe e attiva ogni recettore nervoso. La mia mancanza di fede religiosa, carica di umanità e rispetto, fa sì che parliamo comunque la stessa lingua, universale, rende il dialogo intenso come in un momento di rivelazione. I suoi occhi scuri e luminosi sono buoni e intelligenti, i diciotto anni si riconoscono nei tratti del viso circondati dal foulard, il copricapo ne esalta la bellezza piuttosto che manifestarne rigore, l'espressione è di una donna matura e consapevole.
Un contrasto comune, tra i moti dell'età e l'esperienza indotta, si manifesta nell'adolescenza ma solo con gli ausili individuali dello spirito si sedimenta qualcosa di vivace e pacato, dinamico e saggio.
Mi spiega con naturalezza come l'Islam sia l'evoluzione delle religioni monoteiste, di profeta in profeta, e di come rispetti le altre confessioni, riconosca tutti i testi sacri; tra me penso a una sorta di evoluzionismo teologico e sorrido. Timidamente dico che tutte le religioni hanno la loro dignità e che ci deve essere un Dio per tutti gli uomini, di cui non conosco il nome e ognuno dà un nome differente per un senso comune. Allora prova ad arguire citando il paradiso e l'inferno ma per me si fa troppo difficile e dribblo parlando di comportamenti buoni e giusti, di non ledere il prossimo e nuovamente parliamo la stessa lingua.


UN NAUFRAGO SGUARDO DA UNA NAVE IN SECCA
Venerdì dal quieto distacco, dal sofferto insoluto, dai vetri rotti. Guardo il palazzo di fronte e tutte le finestre spoglie, infrante, contuse. Cartoni e teli attaccati agli infissi serrano bocche che hanno urlato al fragore delle bombe, si oppongono al freddo che preme in un lotta impari. Ho passato marzo a battere i denti in un clima che aveva poco di esotico ma era nulla a confronto dell'inverno passato dai palestinesi, dei 22 giorni in gennaio nel frastuono e tra i lampi che hanno mandato in frantumi ogni vetro, senza più luce, gas, nulla per riscaldarsi o mangiare.
Le facciate, le pietre, le solide pareti, animiste creature ripiene di vita, immobili totem hanno assistito alla furia e alla morte, registrato ogni ingiustizia, assorbito nell'intimo di elementi spugnosi lo scempio, sole sostanze rimarranno nel tempo a conservare memoria della miseria umana, edifici animati rimasti in piedi, statici giganti, a loro volta tremolanti, deboli, improvvisamente fragili sotto la minaccia costante di essere penetrati e violati, afflosciati da un vento cattivo.

Al Salam, il villaggio violato, disseminato da dune funeree, da gobbe contorte di ferro e cemento.
Sulla cima di una rovina un uomo segnato dal sole e dal lavoro, lo sguardo vacuo di chi ha perso tutto, scende venendomi incontro, la forza residua di un sorriso e un gesto di benvenuto ha un'origine a me sconosciuta. Si chiama Hakmad, si avvicina un bambino sui cinque anni che gli si appiccica al pantalone, mentre riceve la mano paterna in un gesto di consolazione. Sì, mi risponde, è il proprietario di quella che era una casa. Gli hanno ammazzato anche quindici mucche. Come ogni contadino di questo mondo, non voleva abbandonare la casa quando gli era stato intimato, sono usciti correndo, con tutta la famiglia, mentre il tetto crollava giù sulla testa; hanno camminato a piedi fino a Jabalia, un paio di chilometri, sotto un temporale di fuoco.

Più avanti una famiglia si è accampata sotto un varco della loro casa disintegrata. Ora è una caverna. Ringraziano Dio per un frigo donatogli il giorno prima, tutto il resto è perso tra i blocchi di cemento armato, il palazzo aveva tre piani e ospitava venti persone. Dalla grotta una donna su una sedia, immobile sembra una mondina che ha perso il raccolto, sul letto affianco i tre figli ammassati, senza saper dove andare in un luogo privato del proprio contesto.
Il padre, Zaied Khader, si rivolge a noi con scienza e coscienza, improvvisa un discorso.
Ringrazia i visitatori, esprime riconoscenza per il popolo italiano e cordoglio per le vittime del terremoto ma si dispiace per il Governo d'Italia, come del resto d'Europa. Muto di fronte al loro dramma, incurante dei crimini da loro subiti, sostenitore delle scelte di Israele nel distruggere il popolo palestinese, il Governo italiano dovrebbe invece fare pressione affinché l'assedio finisca. L'assedio della scarsità di acqua, dell'elettricità razionata, dell'impossibilità di importare materiale edile che li destina a una vita da baraccati, del cibo dispensato loro in elemosina, mentre viene impedito loro di lavorare, dei pescatori minacciati, della dignità negata.
Invita i Ministri italiani a venire, visitare i campi profughi e le rovine, a comprendere di persona la violazione di ogni diritto umano che si consuma con l'occupazione militare e l'assedio, a fare una comparazione tra gli insignificanti danni subiti dai razzi della resistenza e la distruzione totale a Gaza.
Racconta che ha lavorato trent'anni in Israele, con i soldi laggiù guadagnati si era costruito la casa, la casa distrutta in un secondo. Alla sua famiglia sono state distrutte ben 35 case. “Dov'è la democrazia di cui parlano?” ci domanda, domanda, vorrebbe domandare ai nostri ministri.
Raggiungiamo un signore anziano, i vestiti tradizionali, una espressione di una folle disperazione, gli occhi acquosi come di un pianto senza fine. Il ricevimento è pur sempre gentile, è il Mokhtar della famiglia, il primo Moktar che conosco, e gli chiedo il permesso per una foto ritratto che mi viene concessa con un sorriso, con la solita ospitalità proverbiale. Poco più in là una tenda accoglie bambini di fronte a un televisore, come nel surreale momento di una normalità ritrovata. Una ragazzina si volta e mostra al mio obiettivo inattesi occhi azzurri di una intensità pacata, di una luce sospesa tra sogni dell'infanzia fuggiti e futuri negati.


LA RIVELAZIONE (Armageddon)
Ieri, mentre scrivevo, la luce è stata interrotta ben cinque volte: per venti minuti, un paio d'ore, otto ore; questa è la norma da due anni almeno, anche questa è guerra. Deprivazione, offesa, intimidazione, ricordare a ogni giugulare pulsante di Gaza di quanto insignificante e precaria sia qui la vita, di quanto un lontano arbitrio possa impossessarsi, padrone, del destino di ognuno.
Fino alla soluzione finale, Armageddon, l'arma nucleare, come l'attuale Ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman, ha pacatamente consigliato di usare durante la scorsa aggressione. Deve aver pronunciato così pacatamente tanto orrore da raccogliere, forse, anche l'approvazione dell'amico Veltroni, che, come tutti gli sceriffi del mitico West, non ha mosso ciglio. Tacita approvazione.

Durante la mia scrittura, Shads mi ha fatto visita in camera. Le traduco ciò che scrivo di lei e ricevo la sua approvazione.
E' preoccupata. Nella premura, tipica dell'adolescenza, mi manifesta il suo tormento, richiede il mio intervento per una immediata soluzione.
Ricomincia con la storia del Paradiso e l'Inferno, della necessità di rivolgere ogni azione a Dio, di pregare ed essere devoti.
Inizia a parlare della morte, come se gli fosse accanto, come fosse accanto a me, con familiarità, ride pure, allora ci scherziamo un po' sopra.
Comunque non c'è tempo, insiste, sembra quasi pregarmi affinché io decida di fare il passo finale, per salvare la mia anima al cospetto di Dio. Mi manifesta il sua affetto, è sincera, dice che sono meritevole, che la morte è sempre improvvisa e noi ne ignoriamo il sopraggiungere, che manco dell'elemento fondamentale alla salvezza: la fede. Mi chiede di convertirmi per pregare nell'adeguata maniera.
Dal colloquio precedente, magico e seducente, come seducenti sono le vie dello spirito, mi distacco e assumo un atteggiamento analitico, ma non critico per non apparire ostile a sentimenti così intimi. Parliamo a lungo, finché arriva una risposta che mi illumina, non nel cuore ma nella mente. Shads mi racconta il tempo in cui la fede si è rivelata in lei con tanta forza. Mi dice che lei era come le sue sorelle, non usava copricapi, portava abiti succinti, mostrava la propria bellezza e non si curava dei precetti coranici ma.
Ma sotto la guerra.
Ma sotto le bombe.
Ma nella morte imminente.
Ma nei teneri diciotto anni ancora da compiere, a Shads si è rivelata l'unica cosa che in questo mondo può essere salvata: l'anima.
Lungo i 22 giorni di terrore, mentre ogni lembo del proprio corpo poteva essere strappato e dissanguato, dove non esisteva protezione o corte, autorità od ordine a cui poter mostrare la propria innocenza, la propria incoscienza, la propria freschezza, la propria giovane appartenenza a un mondo miserabile, Shads ha scoperto ti essere piena di peccati, di non essere meritevole al cospetto di Dio, di non osservare i precetti, che se fosse morta non avrebbe goduto dello status di martire (Shaheed) che gli avrebbe aperto la strada diretta per il Paradiso.
La parola “shaheed” mi mette i brividi, accuso la disperazione, percepisco l'urlo della vita soffocata. Una ragazza intelligente, con doti artistiche nel disegno e nel canto, con l'aspirazione a diventare un giorno medico, supportata da una famiglia moderna ma anche etica, osservante ma anche laica. Ha paura dei propri peccati, peccati di ragazzina, ha paura che mostrando i propri capelli, le proprie braccia, le proprie mani non faccia cosa grata a Dio.
Ha paura.
Diritti Umani, Democrazia, Progresso, Giustizia, Dignità: tutte parole spazzate via con la forza delle armi, non danno risposte alle paure di Shads, malgrado siano le parole con cui è stata educata da un padre progressista.

Cosa sta facendo l'Occidente a questo mondo, una volta gentile e tollerante?
Milioni di afgani, iracheni, persiani, palestinesi, libanesi, giordani, egiziani. Oltre 1,3 miliardi di musulmani sono costantemente umiliati, in particolare negli ultimi otto anni. Oltre un milione di iracheni uccisi in una delle guerre più oscene e bugiarde della Storia. Il popolo palestinese da 61 anni paga per una continua pulizia etnica che è riconosciuta solo dagli storici in ambito accademico ma non trova voce nella diplomazia internazionale. I paesi arabi più corrotti e autoritari godono del complice silenzio delle Superpotenze che spartiscono i dividendi del petrolio tra poche famiglie locali, privando le popolazioni di risorse e sviluppo. Ogni paese che negli ultimi 30 anni si è affacciato sulla soglia della modernità, si è dato un ordinamento laico per raccogliere la sfida della Storia Contemporanea, è stato ricacciato indietro, minato nell'interno con i dollari dall'esterno, corroso e assediato da forme di fondamentalismo sempre finanziate, direttamente o indirettamente, dai servizi di intelligence occidentali.
E' innegabile che gli USA hanno vinto la Guerra Fredda anche per il sostegno, dato e ricevuto, dell'integralismo islamico, è innegabile che, oggi, chiedano il conto, un conto che il mondo arabo sta pagando a duro prezzo, col prezzo del sangue: dall'Algeria, alla Bosnia, correndo fino al Pakistan.

E' di oggi la notizia dell'ennesimo attacco suicida in Iraq.
Due donne, cariche di esplosivo, si sono fatte esplodere in un santuario sciita, uccidendo 60 persone. Chi erano queste due donne? Qual'è la tragedia, il dolore, la follia che porta a un gesto tanto atroce?

Liberatevi da ogni irrazionale pregiudizio, distillato da una stampa scellerata giorno per giorno, e pensate che non esiste alcuna cultura, alcuna religione che spinge a un gesto tanto estremo. E' solo disperazione, una tremenda disperazione condita da una ignoranza indotta, di cui siamo tutti colpevoli, colpevoli di subire un costante plagio, malgrado siamo tutti forniti degli adeguati strumenti culturali per riconoscere che “il re è nudo”.
Quando mi sono interessato a degli studi epidemiologici sui costi umani della guerra in Iraq, mi sono imbattuto in indagini e testimonianze sconvolgenti sugli squadroni della morte (http://www.brusselstribunal.org/index.htm) e sui metodi “sudamericani” adottati, inusuali sul campo mediorientale, mentre John Negroponte era ambasciatore a Baghdad. Lo stesso che era ambasciatore in Honduras negli anni '80, con gli stessi squadroni della morte, almeno per metodo. Lo stesso che sosteneva i Contras in Nicaragua, guarda caso sovvenzionati con soldi iraniani. Gli stessi iraniani che dal 2003 sono alleati, sul campo, con l'intelligence americana per soffocare la resistenza nazionale; malgrado i Media tacciano sulla santa alleanza, continuando a farneticare su fantomatici conflitti in Persia che sono puntualmente disattesi, Media troppo impegnati a crociate atte a fomentare guerre di religioni tra i poveri.
Il Conflitto di Civiltà non esiste, nessun popolo lo vuole, lo cerca, lo desidera.
“Dividi et Impera”, è questo l'unico conflitto, e presto ne pagheremo il prezzo in tutto il Mondo.

Dal Paradiso negato di Gaza
Siamo tutti assediati



2 commenti:

  1. tosto,secondo me ancora da lavorarci

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  2. gran bel post,
    se non te lo avevo detto in questo dannato posto.

    tuo sick VIK

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