mercoledì 11 marzo 2009

L'Ospedale palestinese di Mezzaluna Rossa - Il Cairo - Dr.ssa Laura Franceschini

Dr.ssa Laura Franceschini, 2 marzo 09

Nel pomeriggio un altro gruppo si reca all’ospedale per visitare i feriti, veniamo accolti dalla stessa responsabile che si mostra gentile e disponibile, ci informa che in qualche modo si sente parte del nostro team, perché ha fatto una tesi di laurea sulla situazione dei bambini a Gaza e quella di dottorato sulla situazione delle donne. Precisa che dei 5050 feriti di guerra solo 750 sono stati portati fuori dalla Striscia e curati in Egitto. Mi domando quale sia il motivo per cui in Italia arrivano solo malati cronici che non hanno nulla a che fare direttamente con la guerra, la spiegazione è che in una situazione di emergenza non vi è la possibilità di dare adeguate cure ma mi viene anche in mente che ci sia qualcosa che non deve essere visto….anche perché sembra che l’altro paese in cui si ricoverano bimbi palestinesi sia Israele, comunque queste sono illazioni.
Il primo ragazzo che troviamo ha 19 anni, è stato investito da un missile che lo ha preso ad un fianco e gli è scoppiato dentro macellandogli bacini, intestino, rene…. È completamente senza gambe e si esercita con la sedia a rotelle automatica perché ha anche il braccio sinistro paralizzato, ha molto dolore ed il viso è una smorfia..
Nelle altre camere troviamo sempre traumi, alla colonna vertebrale ( quindi paralisi degli arti inferiori e/o superiori quando sono conservati e non amputati) e al cranio con esiti differenti. Quasi tutti sono ancora in attesa di interventi benché ne abbiano già subiti, sono assistiti da “ amici” del Cairo, quindi completamente slegati dagli affetti familiari per i quali, fra le altre cose, anche la totale chiusura del valico di Rafah rende impossibili le visite.
I tre casi più struggenti sono quelli di una piccola di tre anni e mezzo, in coma, che ha avuto il cranio scoperchiato e quindi il cervello è scoperto, ci si stupisce che sia ancora viva e credo che tutti abbiamo pensato che forse sarebbe meglio morisse.
C’è poi un bimbo di 12 anni. Era in casa ed è arrivata una bomba, sono morti tutti, la madre e le sorelle, il padre è ferito, ha perso le gambe ed è rimasto a Gaza. Ha subito un grave trauma cranico, ha perso la vista e parzialmente l’udito, dovrà essere nuovamente operato al nervo acustico. A vederlo sembra abbia sette otto anni, parla molto poco, con voce fievole, ha un sorriso stereotipato e sembra guardare in un punto lontano, ci dicono che ha perso completamente la memoria, non ha più alcun ricordo, sarebbe bello capire se è per il trauma fisico oppure una difesa psicologica all’atrocità subita, da psichiatra propenderei più per la seconda.
Mahmoud è invece un ragazzino di 15 anni, ha il viso completamente deturpato, non ha occhi, ha ferite multiple al viso, una frattura al setto nasale, quando lo scoprono si vede che le ferite sono molte altre, all’intestino, alle gambe. Stava soccorrendo, insieme allo zio, dei feriti quando è arrivata una bomba, è stato l’unico sopravvissuto dell’auto.
E’ molto agitato, sofferente, porta spesso le mani al capo, si struscia gli occhi, si lamenta in continuazione, ci spiegano che dice di sentire scosse elettriche nel cervello, sente il rumore delle pallottole intorno, è in ansia e ha paura. La nostra presenza sembra indifferente, come se non ci fossimo, chiediamo che terapia assume e vediamo che è proprio blanda, ci ripromettiamo di ritornare con dei farmaci che abbiamo portato per vedere se riusciamo almeno inizialmente a sedarlo un po’ di più.
Usciamo dall’ospedale con un senso di oppressione incredibile, ci domandiamo come si può tollerare tanta sofferenza, quale è la scintilla che li tiene in vita, che ti fa andare avanti, molti ci dicono il pensiero di ritornare.
Non sappiamo se riusciremo ad entrare a Gaza, lo speriamo ancora di più oggi, anche solo per pochi giorni, abbiamo voglia di vedere e di capire cosa è accaduto, cosa troveremo, ancora di più pensiamo che la dimensione psichica sarà tragica e immaginiamo che forse non avremo molto tempo per raccogliere informazioni o materiale perché le dimensioni di ciò che è accaduto, dall’assaggio di oggi, devono essere immense e credo che ci sarà solo da lavorare e fare il nostro mestiere.

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